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Opinioni fuori dal coro La fine del mondo che verrà

di Giorgio Da Gai. Il 21 dicembre 2012 sarà un giorno come gli altri e un passo avanti verso la fine del mondo



Il 21 dicembre 2012, non accadrà nulla catastrofico. Nessun evento apocalittico sconvolgerà la terra, come attribuito al calendario maya; o raccontato dal film The Day After Tomorrow, del regista Roland Emmerich. Questo screditerà i ciarlatani, che speculano sulla paura e sull’ignoranza della gente; e deluderà le anime semplici, che in ogni crisi, leggono i segni premonitori dell’arrivo di un Messia o di qualche benevola civiltà extraterrestre, destinata a redimere il genere umano dall’atavica avidità e stupidità.

Il 21 dicembre 2012, sarà un giorno come gli altri e un passo avanti verso la fine del mondo. Non si estinguerà la specie umana, ma sarà un’Apocalisse lenta, come quella dei maori. Gli scienziati, sostengono che tra il 2030 e il 2050, a cambiare la faccia del Pianeta, sarà la crisi dell’ecosistema mondiale. Una crisi segnata da grandi mutamenti climatici che origineranno guerre, tumulti, insurrezioni, epidemie e carestie, drammatiche migrazioni di massa, la fine d’intere nazioni. Una crisi, che avrà effetti devastanti, perché investirà l’intero pianeta e andrà a sommarsi alle altre crisi che oggi affliggono il mondo. Che cosa verrà dopo, non so dirvelo.

Lontano dagli splendori della civiltà classica e deluso dal progresso, l’uomo contemporaneo vive in un epoca di declino spirituale e materiale, riscopre le paure e le angosce dell’uomo medioevale; ma privo della fede in Dio e dello spirito comunitario di quest’ultimo, si trova ad affrontare in solitudine, le crisi che disegnano un futuro inquietante: crisi economica, dell’ecosistema globale, geopolitica e sociale.

La crisi economica, è legata al fallimento del liberismo, che il processo della globalizzazione ha esteso al mondo intero. Un modello economico: che eleva il profitto a valore universale, al quale gli individui e le nazioni devono sacrificarsi; che si alimenta attraverso una crescita economica illimitata, dagli effetti devastanti sull’ecosistema globale.

Le conseguenze della globalizzazione sugli individui, sulle nazioni e sull’ecosistema del pianeta, sono cosa nota, ma vale la pena ricordarli. L’esautoramento degli Stati nazionali e delle comunità locali, con la creazione di organismi di governo sovranazionali destinati a imporre le politiche neoliberiste (FMI, Banca Mondiale, Banca Centrale Europea, ecc.); lo smantellamento dello Stato sociale, (riduzioni della spesa pubblica e privatizzazione dei servizi pubblici) precarizzazione del lavoro e la riduzione dei diritti sindacali; l’alienazione di milioni d’individui, trasformati in produttori – consumatori del mercato globale, senza radici e valori; la distruzione delle economie locali fondate sull’autoconsumo (vedi i Paesi del terzo mondo); la devastazione dell’ambiente, dal consumo illimitato del territorio (cementificazione) e delle sue risorse (acqua, petrolio, gas, ecc.), all’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo; crisi finanziarie devastanti e dagli esiti imprevedibili (vedi i mutui sub prime che fecero da detonatore all’attuale crisi economica.

Infine, la globalizzazione ha provocato la crisi delle economie occidentali (Europa e Stati Uniti) a favore di quelle emergenti (Brasile, Russia, Cina e India), verso le quali si è spostata la crescita economica (delocalizzazione). Le economie dei Paesi Emergenti stanno prevalendo su quelle occidentali, per ovvie ragioni: abbondanza di manodopera a basso costo, non sindacalizzata e disposta a lavorare in condizioni disumane (Cina e India); abbondanza di materie prime (Brasile e Russia), presenza di una popolazione giovane. La crescita demografica ed economica dei Paesi emergenti, determinerà il collasso dell’ecosistema mondiale, già provato da secoli di sviluppo irrazionale; che non riuscirà a sostenere, il consumo e l’inquinamento, prodotto da milioni di nuovi abitanti, appartenenti a nazioni spesso insensibili ai temi dell’ambiente. Per queste ragioni, l’attuale crisi economica delle economie occidentali, non va vista come una crisi provvisoria ma irreversibile. Una crisi, che segnerà la fine del capitalismo e la supremazia dell’occidente. L’ascesa delle economie emergenti, sarà per le stesse una vittoria effimera, perché porterà al collasso dell’ecosistema ambientale e quindi anche al loro tracollo. Morirà Sansone con tutti i filistei.

Gli effetti della crisi dell’ecosistema globale sono già evidenti e siamo solo all’inizio: desertificazione, alluvioni e uragani. Catastrofi, che colpiscono con inaudita violenza e frequenza: non solo l’Asia, l’Africa e il Centro America; ma anche, gli Stati Uniti  e l’Europa, dalle alluvioni che hanno colpito il Veneto (2010), fino all’uragano Katrina che distrusse New Orleans (2005), compresa la grave siccità che quest’anno ha segnato gli Stati Uniti. A tutto questo si unisce l’inquinamento ambientale che genera epidemie e tumori. Tutte conseguenze di un modello di sviluppo irrazionale che agisce in modo predatorio sull’ambiente e di una crescita demografica incontrollata. La crisi dell’ecosistema mondiale, provocherà gravi carestie di cibo e di acqua; l’esaurimento delle risorse energetiche e delle materie determinerà la paralisi delle nostre imprese e modificherà il nostro tenore di vita; l’esodo di milioni di persone dal terzo mondo all’Europa con conseguenze devastanti sulla nostra struttura sociale; scatenerà feroci conflitti tra le nazioni, per il controllo delle risorse naturali, dal petrolio all’acqua.

La crisi geopolitica, che sconvolge gli equilibri internazionali, è legata; allo scontro di civiltà, tra islam e occidente, nei termini descritti dal politologo Samuel Huntington; al tentativo di Russia e della Cina, di contenere la supremazia militare degli Stati Uniti; dagli effetti della Primavera Araba sugli equilibri del Medio Oriente e dal ruolo della Turchia come potenza regionale, dal probabile collasso dell’Europa che l’attuale crisi economica ha diviso e solo l’euro tiene ancora unita.

Lo scontro tra islam e occidente non può essere spiegato solo facendo riferimento aspetti di ordine politico - economico: le riserve energetiche di gas e di petrolio, senza le quali la società occidentale rischia il collasso. La causa principale dello scontro tra islam e occidente è di tipo culturale. Islam e Occidente, sono civiltà convinte dell’universalità e superiorità della propria cultura e cercano di imporla al mondo intero: l’occidente con la guerra umanitaria e l’islam con la guerra santa.

La Cina e la Russia sfidano la supremazia politico – militare degli Stati Uniti. In Siria: la Russia, la Cina e l’Iran sciita, appoggiano il governo siriano; nella lotta contro i ribelli, sostenuti dagli Stati Uniti, dalla Turchia e dall’islam sunnita. La Russia, si oppone all’allargamento a est della Nato; in gioco, c’è il controllo di quelle che furono le nazioni dell’ex impero sovietico (Polonia, Ucraina, Bielorussia, la Georgia con la secessione dell’Ossezia, l’Asia centrale con i ricchi giacimenti del mar Caspio) e il mondo slavo – ortodosso (il recente conflitto balcanico). Cina e Russia, stanno sostituendo Stati Uniti ed Europa, nelle relazioni commerciali con l’Africa e l’America latina.

La Turchia, non è più un docile strumento della Nato, cerca di emergere come potenza regionale, entro quelli che furono i confini dell’impero ottomano, dal Medio Oriente ai Balcani. Come potenza regionale, mira a entrare nell’Unione Europea, per islamizzarla, mutando gli equilibri demografici all’interno della stessa; agli immigrati mussulmani già residenti in Europa, si unirebbero settanta milioni di turchi, divenuti cittadini europei, trasformando l’Europa in Eurabia. Un continente asservito all’islam e alle sue leggi, attraverso un processo che non sarà indolore; perché l’esperienza insegna, che ieri come oggi, è sempre con la forza che l’islam s’impone. Gli attentati di Londra (2005) e di Madrid (2004), i falliti attentati che ne sono seguiti e le rivolte nelle periferie francesi (2005), potrebbero essere il prologo di un conflitto di ben più ampie dimensioni.

La Primavera Araba si è trasformata in Autunno. In Egitto, in Tunisia e in Marocco, a prevalere nelle elezioni sono stati i partiti islamisti, che vogliono introdurre la sharia nella legislazione dei rispettivi Paesi, per creare una società confessionale, come quella saudita o iraniana. In Libia e in Siria, la Primavera Araba ha scatenato una feroce guerra civile fomentata dall’occidente; un conflitto, che nel caso della Siria potrebbe coinvolgere la Turchia, l’Iran e Israele, destabilizzando l’intero Medio Oriente e coinvolgendo anche noi.

In Europa, l’attuale crisi economica, ha scatenato gli egoismi nazionali: le nazioni europee, con un’economia solida, non intendono pagare i debiti di quelle con un economia in difficoltà; quest’ultime, non accettano le politiche lacrime e sangue imposte dalle prime. Questo ha fatto emergere la debolezza costitutiva dell’Europa. Un’unione monetaria priva di valenza politica: costruita da una minoranza di banchieri, politici e burocrati; nell’indifferenza dei popoli o contro la volontà degli stessi. La rottura dell’unità europea, porterà anche alla divisione dell’Italia, unita nella forma ma non nella sostanza. Alla faccia degli sciocchi, che credono nel dogma dell’Italia unita e indivisibile; mentre il Paese, governato da una casta parassitaria, affonda nella crisi.

Ancora non ci sono le condizioni per scatenare una terza guerra mondiale, che non avrebbe ne vinti e ne vincitori; ma ci sono per provocare milioni di morti e cancellare intere nazioni. Per fare questo, non servono eventi apocalittici, come una terza guerra mondiale; bastano i conflitti locali, come quelli che hanno segnato la guerra fredda, a dissoluzione dell’est Europa, e ora insanguinano il Medio Oriente; una crisi economica, come quella attuale, dagli esiti imprevedibili e dalla fine incerta, un’immigrazione incontrollata come quella che investe l’Europa.

La crisi sociale, che colpisce l’Europa assume le forme di una lenta e progressiva disgregazione sociale, legata alla caduta dei valori tradizionali (Dio, Patria, Famiglia e Autorità), agli effetti negativi di un’immigrazione incontrollata e alle tensioni sociali che l’attuale crisi economica crea.

Le tensioni sociali, sono legate alla povertà e alla disoccupazione. Se le condizioni della gente dovessero peggiorare, si potrebbe verificare una Primavera Araba, con protagonisti i milioni d’immigrati e di autoctoni, disoccupati e di precari, senza futuro e speranze. Un rapporto della Commissione europea presentato nel mese di dicembre, rileva che quasi una persona su quattro nell'Unione europea è minacciata di povertà o esposta all’indigenza (115 milioni di persone, ossia il 23 per cento della popolazione dell'Unione europea). I dati sono del 2009, ma oggi la situazione è peggiorata. Oltre le differenze di classe, operai e imprenditori, si suicidano per disperazione.

L’immigrazione incontrollata: minaccia la nostra sicurezza, perché genera criminalità e terrorismo; minaccia il nostro benessere, perché genera degrado (campi nomadi, ghetti, lavoro nero, prostituzione), concorrenza tra autoctoni e immigrati nell’assegnazione delle risorse pubbliche (alloggi, servizi sanitari, sussidi, ecc.), pesa sui bilanci pubblici erosi dalla crisi economica (le spese legate all’integrazione degli immigrati e delle loro numerose famiglie); minaccia la nostra cultura, perché ostile nel comportamento e incompatibile nei valori (nomadi e mussulmani).

La crisi dei valori tradizionali provoca la disgregazione della nazione. Una nazione, non può sopravvivere senza uno Stato autorevole, senza una Patria dai confini certi, senza famiglie che generano figli e gli educano ad affrontare la vita, senza valori spirituali nei quali credere e identificarsi. Valori, che nel pensiero conservatore europeo hanno un significato preciso.

Dio, come religione cristiana, che ha dato all’Europa speranza e valori sui quali fondare una civiltà millenaria: la speranza, per milioni di persone, in una vita ultraterrena e in una giustizia divina, che servono da antidoto contro le avversità della vita e danno significato alla stessa; valori, come la separazione tra Stato e Chiesa, il senso della giustizia e della pietà. Non è una questione di fede, che rimane un fatto personale; si tratta di riconoscere le radici cristiane dell’Europa, il valore del cristianesimo nella nostra esperienza storica e identitaria.

Patria, come sintesi: di spazio vitale, luogo dove un popolo vive e dal quale ricava le risorse per sopravvivere; e terra dei padri, luogo dove un popolo ha le proprie radici, la propria storia. La sopravvivenza fisica e culturale di un popolo sono legati al concetto di patria. Un popolo rischia l’estinzione, quando la sua patria è invasa da popoli stranieri: che pretendono di imporre la propria cultura, di occupare uno spazio geografico che non gli appartiene e di usufruire delle risorse che lo stesso dispone. Questo è avvenuto con il colonialismo europeo; e si sta ripetendo, con l’attuale immigrazione che minaccia i popoli europei. Gli europei faranno la fine degli indiani d’America?

Famiglia, come l’unione di un uomo e di una donna, destinata alla vita in comune e alla procreazione e cura della prole. La famiglia è alla base della società: assicura la riproduzione della specie ed è nella stessa che gli individui sono educati e ricevono affetto e protezione. I divorzi, la legalizzazione delle unioni omosessuali, l’aborto, la crisi della figura paterna e la denatalità; non permettono alla famiglia di svolgere il ruolo affettivo, educativo e biologico.

Autorità, come presenza di uno Stato autorevole e non autoritario. Uno Stato, che tutela il patrimonio nazionale (ambientale e culturale), la vita e i beni dei suoi cittadini (giustizia, ordine pubblico, difesa, salute, previdenza sociale e servizi essenziali). Uno Stato, che esercita la propria sovranità, in modo pieno e assoluto, senza sottostare ai ricatti di nazioni straniere, di organismi sovranazionali (FMI, BCE, banche internazionali, ecc.) e di organizzazioni criminali (la mafia).

La società occidentale ha rinnegato i valori tradizionali nel nome del progresso; il Paradiso in Terra, lo definisce Christofer Lash, nell’opera omonima. Un mondo, dove regnano: pace, democrazia e benessere. Condizioni, assicurate: da un’economia capitalista, da un sistema politico democratico, dai progressi della scienza e nella tecnica; sembrerebbe il migliore dei mondi possibili, ma non è così.

La pretesa di estendere il nostro modello di società al mondo intero, attraverso la globalizzazione o le guerre umanitarie, nasce da una visione totalitaria del mondo, tipica del messianismo marxista e del fanatismo islamico, totalitarismi che pretendono di uniformare il mondo intero ai propri valori.

Il modello occidentale non sempre garantisce la pace, la democrazia e il benessere. Il capitalismo attraverso la globalizzazione, ha asservito tutto e tutti, alle disumane leggi del profitto. Le guerre umanitarie, (dal Kosovo alla Libia) combattute dagli Stati Uniti e loro alleati, nel nome della pace e della democrazia; si sono rilevate un utile espediente per realizzare gli interessi occidentali sotto la maschera della crociata umanitaria. La democrazia, non è governo di popolo, ma di minoranze, asservite alla logica della globalizzazione; al punto, che sono i mercati a decidere, chi deve governare e quali politiche adottare (vedi Monti in Italia e Papademos in Grecia). La scienza e la tecnica, hanno generato tragedie, da Hiroshima a Fukushima, Chernobyl compresa; oppure, si rilevano incapaci di contenere gli effetti devastanti e imprevedibili del mutamento climatico, di sconfiggere malattie come il cancro e l’AIDS. Quanto alla giustizia sociale, rimane un’utopia: sulla quale il marxismo, ha edificato i peggiori totalitarismi; e la sinistra progressista, ha confuso la solidarietà con l’assistenzialismo, alimentato il femminismo isterico, il vittimismo e il rancore delle minoranze etniche e di quelle sessuali (immigrati, neri, omosessuali, ecc), descritto da Robert Hughes, nel saggio La Cultura del Pianisteo; sostenuto il multiculturalismo suicida e il terzomondismo fanatico, descritti da Jean Raspail, nell’opera Il Campo dei Santi, e da Pascal Bruckner,  nell’opera Il Singhiozzo dell’Uomo Bianco.

La crisi dell’ecosistema, ci sta portando verso un disastro planetario, che muterà radicalmente il mondo in cui viviamo. Dovrebbe servirci da monito, la storia dei maori, gli abitanti dell’Isola di Pasqua, che usarono indiscriminatamente le risorse del proprio territorio. In un’isola desertificata dalla deforestazione, dalla quale non potevano emigrare; furono vittime di una terribile carestia che scatenò sanguinosi conflitti per il controllo delle scarse risorse disponibili, decretando la fine della loro civiltà. (Alberto Angela, l’Isola di Pasqua, RAI 3, Ulisse, 20.10.2007)

Il disastro, non avvenne in modo improvviso; ma lentamente, senza che gli abitanti se ne rendessero conto, proprio come sta accadendo a noi: - Dopo tutto, ci sono quelle centinaia di statue abbandonate da tenere in considerazione. La foresta dalla quale gli isolani dipendevano per i rulli e le corde non è semplicemente scomparsa in un giorno — è svanita poco a poco, nel corso di decenni. Forse la guerra interruppe le squadre al lavoro; forse nel momento in cui gli scultori ebbero finito la loro parte, l’ultima corda si strappò. Nel frattempo, ogni isolano che tentasse di avvertire dei pericoli della progressiva deforestazione sarebbe stato scavalcato dagli interessi acquisiti degli scultori, dei burocrati e dei capi, il lavoro dei quali dipendeva dal proseguimento della deforestazione. I nostri taglialegna del Nord-Ovest sul Pacifico sono solo gli ultimi di una lunga dinastia di taglialegna a gridare: “Il lavoro prima degli alberi!”-. (Discover Magazine 8.1.1995). La storia è maestra di vita e la lezione dei maori dovrebbe essere ovvia: - L’Isola di Pasqua è la Terra in piccolo. Oggi, di nuovo, una popolazione crescente si confronta con la riduzione delle risorse. Anche noi non abbiamo una valvola migratoria, poiché tutte le società umane sono interconnesse per mezzo di trasporti internazionali, e noi non possiamo fuggire nello spazio più di quanto gli isolani di Pasqua potessero fuggire nell’oceano. Se continuiamo a seguire il percorso attuale, ci ritroveremo ad avere esaurito le più grandi riserve di pesca del mondo, le foreste tropicali, i combustibili fossili e gran parte del nostro suolo entro il momento in cui i miei figli raggiungeranno l’età che ho oggi -. (Discover Magazine 8.1.1995).

Purtroppo la tragica esperienza dei maori non c’è servita da lezione. Da destra a sinistre, un coro di criminali e d’imbecilli, ripete il mantra liberista: - il progresso non si può fermare… la crescita economica deve continuare… non possiamo tornare indietro…lo dicono i mercati - .

E’ superficiale e demagogico, attribuire al solo occidente, la responsabilità di tutti i mali che affliggono la terra. Le avide e criminali oligarchie africane, hanno derubato e sterminato i propri popoli, peggio dei colonizzatori bianchi. Le economie emergenti della Cina e dell’India, con la loro crescita economica e demografica, devastano l’ambiente più dell’opulento occidente. La religione islamica, non è meno intollerante e violenta, del passato colonialismo europeo.

Colpe a parte, le crisi colpiranno il mondo intero, nessuna nazione ne sarà immune; anche se, alcuni Paesi saranno più colpiti di altri. In Europa, viziati da un lungo dopoguerra di pace e di benessere, viviamo nell’illusione, che tale condizione sia immutabile; convinti che la miseria e la guerra appartengano al passato o ad altri Paesi, dai Balcani al Medio Oriente. Viviamo la guerra e la miseria, come eventi mediatici, alla pari di un film o di un documentario, convinti che saremo sempre spettatori e mai i protagonisti. In realtà guerra e miseria sono fatti reali. La nostra storia ci ricorda le recenti guerre mondiali; le epidemie devastanti, dalle pestilenze alla spagnola; un passato di miseria e di emigrazione. Le tragedie che decimarono la popolazione europea potrebbero ripetersi, in forme diverse: non epidemie di peste, ma di cancro; non guerre tra nazioni ma conflitti interetnici, tipici delle società multirazziali; l’emergere una nuova miseria legata alla disoccupazione e al precariato.

Il 2030 non è lontano, se vogliamo salvarci e offrire un futuro ai nostri figli, dobbiamo riscoprire i valori tradizionali che rendono solida e stabile una società; adottare un modello economico fondato sull’economia della decrescita (Maurizio Pallante, Serge Latouche, ecc.), che rifiuta il principio della crescita illimitata e il profitto come valore assoluto.

Buon Natale e Felice Anno Nuovo.

Giorgio Da Gai

Pubblicato da piave in data Domenica, 16 dicembre 2012
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