di Gianfranco Favaro. Il 27 gennaio è ricorsa la Giornata della Memoria. Qualche giorno prima della commemorazione veniva riproposta in TV una vecchia puntata di Mixer dedicata alla Shoah che mi sono soffermato a guardare, pur con il cuore dolente.
Rivedendo le immagini dei campi di sterminio e ascoltando i racconti dei sopravvissuti, la mente non poteva che ritornare alla mia visita, non programmata e avvenuta quasi per caso durante un breve soggiorno in Polonia, ad Oswiecim, paesino polacco nei pressi di Cracovia, meglio noto con il nome tedesco di Auschwitz. Dalla memoria del cuore sono riaffiorate le sensazioni che, ancor oggi, le baracche, le rotaie, il filo spinato, le dimensioni immani di quel mattatoio, sanno suscitare e che violentano la razionalità e i sentimenti di qualsiasi essere umano appena degno di essere chiamato tale.
Ma dopo aver superato, a fatica, le vertigini che la vista o il ricordo di quell’abisso procurano, cominciano le domande. Sempre. Com’è possibile che ciò sia avvenuto? Com’è possibile che così tante persone con millenni di storia e cultura alle spalle, da sempre innamorate della musica e delle arti, cultrici del Pensiero, abbiano saputo varcare ogni e qualsiasi limite, regredendo non allo stato ferino, perché l’intero mondo animale avrebbe ad offendersene, ma piuttosto trasformandosi in qualcosa che ha le sembianze dell’angelo caduto?
Il tentativo di rispondere a questi interrogativi ne innesca altri ancora, e altri ancora…in un percorso a spirale che alla fine riesce a trovare però, almeno agli occhi della mia limitata intelligenza, una risposta ultima. Non ci sarebbe stato l’olocausto se in Germania non avesse imperato uno Stato nella sua massima espressione possibile: quella totalitaria.
La Germania, grazie ad esso e per causa di esso, è riuscita a trasformarsi in un unico, brutale, sordo maglio che ha percosso l’intera Europa. Il pensiero unico imposto attraverso la menzogna, il monopolio dell’informazione e dell’istruzione, attraverso la propaganda e la violenza, ha saputo manipolare e zittire le voci del cuore e della mente di milioni di persone e le ha trasformate in adoratori sanguinari del nuovo dio pagano, lo stato totalitario, disposti a sacrificare al suo altare milioni di persone, oltre che le proprie anime.
Struttura di Male organizzato. Questo può diventare, ed è già accaduto, lo stato. Gli esempi sono numerosi, anche quelli del presente. Eppure, qui nel bel paese, e non solo, naturalmente, da decenni ci viene propagandato un messaggio che così si può riassumere: “ciò che è pubblico (leggi statale), è buono!”. E molti, moltissimi, sembrano dare per scontato che questa sia un’affermazione sensata, vera. E la ripetono, come un mantra. Anzi, di stato ne vogliono ancora di più. Persino l’algido e distaccato tecno-politicante Mario Monti, come un Capanna d’antan qualsiasi, ha concluso il suo intervento alla prima puntata di Z (conduttore G. Lerner) affermando che “ci vuole più potere pubblico” che tradotto significa “più stato”. Ed è in buona e numerosa compagnia.
Spero allora, con quel che segue, di non scandalizzare troppo la sensibilità di qualcuno, (o forse lo desidero ardentemente?), soprattutto di quei cattolici che strizzano l’occhiolino a certe tesi comunitariste-stataliste, infarcite di buonismo e politically correct, in voga da troppi anni e mai abbastanza contrastate, e che magari stanno leggendo queste mie affermazioni, se a loro, in modo particolare, mi permetto di consigliare la lettura (magari con l’ausilio di un buon commento) dell’Apocalisse di Giovanni. Perchè scoprirebbero delle cosucce piuttosto interessanti. Come ad esempio il fatto che già due millenni fa, all’ultimo profeta, perché apocalisse significa rivelazione, era chiaro che:
“…la Bestia che sale dal mare è l’impero romano, non certo negli uomini che lo governano come tali, ma nella sua organizzazione, nel suo potere e nella sua idolatria” (B. Maggioni –L’Apocalisse-).
L’impero, che ai giorni nostri corrisponde allo stato, è per Giovanni nient’altro che la manifestazione del Male con la m maiuscola. Esso si caratterizza per tre attributi distintivi: organizzazione, potere, idolatria. Se i primi due sono facilmente associabili all’idea di stato moderno, per il terzo sembrerebbe porsi qualche difficoltà. Ma, scusate, il culto del capo (infallibile e onnipotente) nei regimi fascisti, nazisti, comunisti, cos’è, se non idolatria?
E se passiamo a stati come quello italiano dove vige un regime di simil-democrazia? Beh, alcuni di voi dovrebbero ricordare che qualche anno fa un certo Bertinotti (il moderno “iconoclasta” che, con un atto demenziale, fece addirittura rimuovere da una delle basiliche del potere, Montecitorio, un dipinto raffigurante la battaglia di Lepanto!) vagheggiava di (vado a memoria) “una nuova religione civile, fondata sulla resistenza, il cui testo sacro è la costituzione italiana.” Religione civile…una costituzione come testo sacro…mamma mia. Vade retro!
Oppure pensate per un attimo a tutte quelle cerimonie che ci vengono propinate con frequenza insopportabile: le inaugurazioni dell’anno giudiziario, i discorsi del presidente, le relazioni del governatore della Banca d’Italia, della corte dei conti, le parate e quant’altro. Non hanno le caratteristiche di veri e propri riti con tanto di sacerdoti celebranti, simbologia e platea orante? E l’idolo a cui si rivolgono, non è forse lo stato?
Se vi sembra che esageri date un’occhiata alla pagina web dell’Ufficio del Cerimoniale di Stato (http://www.governo.it/Presidenza/ufficio_cerimoniale/cerimoniale/precedenze.html), seguite in tv, se ci riuscite, una delle innumerevoli liturgie elencate e valutate voi.
E se ancora non vi basta pensate all’uso, apparentemente innocuo, di certa terminologia. Avete mai sentito parlare di “servitori dello stato”? Sì, vero? Ebbene, solitamente sono dipendenti dei corpi militari o di polizia, oppure alti funzionari della burocrazia pubblica.
Il Sabatini Coletti definisce così la parola servitù: “Condizione di dipendenza personale o collettiva, propria di chi è soggetto al dominio altrui o di chi è schiavo”. Ora, dato per scontato che i servitori dello stato percepiscono uno stipendio, conservano tutti i loro diritti al pari e solitamente più dei dipendenti di aziende private e dunque non sono dei servi nel senso proprio del termine, vi è solo un altro caso in cui viene utilizzato e accettato questo aggettivo, servitore, ed è in ambito religioso. I gesuiti, infatti, fanno seguire il loro nome dalle lettere S.J. Servus Jesus, ossia servitore di Gesù. Lo stato come Gesù, forse?
Lo stato è buono…tsè. Ciò che mi disturba alquanto di questa visione è che presuppone una concezione dell’uomo come homini lupus, dove il singolo individuo è visto come negativo, “cattivo” per natura e incapace di vivere con i suoi simili, se non sotto la tutela dello stato, che invece è buono, è equo, è solidale, è giusto e soprattutto fa il bene dei suoi cittadini….
Ma, con questa premessa di fondo, mi chiedo come sia possibile rispondere alla seguente domanda: se l’individuo è malvagio, incapace di compassione, avido, egoista etc. etc. come può lo stato, che stringi stringi, è alla fine costituito e diretto da un gruppo più o meno rilevante di individui (malvagi anch’essi, ricordiamolo), trasformare la natura dei suoi elementi costitutivi e diventare buono? La contraddizione logica è per me insuperabile.
Ma allora, non è forse da rigettare in toto la premessa, soprattutto per un credente? L’ultima creatura di Dio, nel sesto giorno, prima del riposo, fu l’uomo. Ricordiamo per un attimo le parole della Genesi (1, 27): ” Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò”. Poi, non creò più nulla, tanto meno lo stato come tutore terreno dell’uomo, e si abbandonò ad ammirare, compiacendosene, la propria Opera: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.” (1, 31). Nel “quanto aveva fatto di molto buono” presumo non vada escluso l’uomo, che guarda un po’, viene creato addirittura ad immagine di Dio, o mi sbaglio di grosso?
Certo, lo stato italiano non ha, per ora, la faccia feroce di un impero romano o di un Reich nazional-socialista o di una “repubblica” popolare comunista… Mica si è obbligati a salutare a pugno chiuso o a braccio alzato con le dita della mano ben tese. Nooo. Questa è la patria del bunga-bunga, del vvolemmosse bbbbene, del chiagni e fotti, del Monte dei Paschi…al massimo arriviamo lì, mica ai gulag o ai lager…
Però, vedete, a me sembra di scorgere sempre più spesso, travisati a fatica da una maschera di idiota e paternalistica benevolenza, i veri lineamenti di questa “repubblica”, e non mi lasciano tranquillo. Gli attacchi incessanti e di intensità crescente alla proprietà privata grazie ad una tassazione insopportabile, alle libertà individuali, attraverso i monopoli dell’informazione e dell’educazione, la ricerca spasmodica del controllo con strumenti sempre più invasivi e sofisticati quali, ad esempio, Serpico (nome che rievoca certo un famoso detective, ma la cui etimologia, - ironia della sorte? - lo lega indubitabilmente al serpente, simbolo per antonomasia del male), l’uso sistematico e scientifico della menzogna e, ultimo, ma non per importanza, l’accentramento crescente del potere politico, non sono forse indizi preoccupantemente rivelatori?
E non lo sono ancor di più l’impoverimento e la disperazione indotti in certe aree prima floride, come qui in Veneto, (con una tassazione senza precedenti, per finanziare una spesa pubblica dissennata, necessaria a satollare schiere sterminate di parassiti o servitori dell’idolo) e l’abdicazione completa all’esercizio della giustizia, con parti crescenti del paese lasciate in mano ai concorrenti più simili e agguerriti dello stato, cioè le organizzazioni mafiose?
Qual è allora la vera natura, l’essenza, dello stato italiano? Io credo che sia quella dei mostri citati prima, solo non è ancora del tutto ben visibile. Ma si sta rivelando sempre più. Perché via via che la Bestia cresce, e quella italiana sta crescendo eccome, essa diventa più forte e ha meno timore di mostrare il suo ceffo. E qui in Veneto, dove i livelli di ingiustizia e di sofferenza che il Cerbero produce (perché questi e solo questi sono i suoi veri figli) stanno diventando intollerabili, la maschera è quasi del tutto caduta. Ciò che ancora a stento la sostiene, sono solo delle menzogne un po’ più tenaci. Come appunto quella per cui “lo stato è buono”, o che l’unità è un valore a prescindere e tutte le infinite altre bubbole che potete aggiungere pescando dalla retorica italico-statalista.
Che fare allora?
Un futuro senza stati, è quello che ormai parecchi uomini di pensiero, non solo auspicano, ma addirittura prevedono per il futuro dell’umanità. Ma se quel momento sembra lontano, c’è però, a portata di mano e praticabilissima, una “soluzione intermedia”, come afferma Hans Hoppe:
“...Si chiama secessione e decentralizzazione politica… E’ desiderabile un mondo fatto di migliaia di Liechtenstein, Singapore e Hong Kong. In contrasto, un governo centralizzato europeo - e a maggior ragione un governo mondiale – con una politica fiscale e regolatoria “armonizzata”, è la minaccia più grave alla libertà.”
Stati piccoli, con qualche milione di abitanti, dove i cittadini si riappropriano finalmente della loro sovranità, cioè della facoltà di decidere per sé e di sé, nei quali il Mostro può essere tenuto a bada perché minuscolo.
Questo è ciò che si prospetta in un futuro a breve termine. E’ questo che sta accadendo in Europa! Il Vecchio Continente si sta finalmente ridestando dall’incubo statalista. Fuochi di libertà si possono ormai scorgere sempre più numerosi nel suo territorio. E rischiarano finalmente la lunga notte da tregenda del XX secolo.
Uno di quei fuochi, di sicuro tra i più luminosi, arde proprio qui in Veneto, grazie alle donne e agli uomini di Indipendenza Veneta, il movimento cui mi onoro di appartenere, che sta aprendo con grande determinazione la strada che porta all’indipendenza.
Sentiamoci onorati, noi veneti, e orgogliosi di contribuire a questa conquista di libertà, di giustizia e di verità che riguarda l’Europa intera. Ma nel farlo, prendiamoci nel cuore anche la nostra piccola parte di responsabilità personale. Perché è arrivato il momento di scegliere. Ed agire concretamente. L’indipendenza non arriva come la pioggia dal cielo. E’ un traguardo ambizioso che si raggiunge tanto più velocemente quanto maggiore è il consenso e l’afflato che si stringe attorno ad essa. Invito pertanto i veneti ad approfondire la conoscenza della nostra proposta indipendentista, chiedendo informazioni presso i numerosissimi banchetti o visitando il nostro sito internet, e a procedere con noi nell’azione di emancipazione del nostro popolo, che a breve scadenza vede due tappe cui chiedo loro di partecipare:
La prima il 16 febbraio, a Venezia, (partenza dal ponte Calatrava alle ore 15.00) quando presenteremo una proposta di legge regionale, predisposta da una commissione di esperti, e la consegneremo, dopo che sarà firmata da tutti i partecipanti, al Consiglio Regionale del Veneto.
In essa sono contenute le modalità per lo svolgimento della consultazione referendaria per l’indipendenza ed il termine entro cui tenerla, che non andrà oltre la fine di novembre 2013. Servirà poi il sostegno di almeno 15 consiglieri regionali. Quindi ci sarà la discussione e la votazione in Consiglio. Se approvata, i veneti potranno andare al referendum.
L’appuntamento è dunque storico e la partecipazione di tutti i cittadini che hanno a cuore il proprio destino di libertà è imperativa.
La seconda con le votazioni del 24-25 febbraio. Indipendenza Veneta si presenta solo in Veneto . Il programma elettorale è costituito da un unico punto che così recita: i rappresentanti eletti alle elezioni politiche dichiareranno unilateralmente l’indipendenza del Veneto. Se il 50%+1 degli elettori veneti voterà Indipendenza Veneta, sarà indipendenza!
Concludo dedicando ancora un ultimo pensiero agli amici credenti. Se per tutti i cittadini veneti ci sono molte, valide e nobili ragioni per desiderare l’indipendenza e prodigarsi per raggiungerla, io penso che per loro, e li invito a verificarlo, ce ne sia addirittura qualcuna in più.
Gianfranco Favaro
Direttivo Indipendenza Veneta