CANEVA. Continua la gogna mediatica a senso unico nei confronti del manager del ciclismo Gianni Biz, un uomo che in quasi mezzo secolo di carriera come dirigente sportivo, ha il merito di aver fatto conoscere, con un successo dietro l'altro, il nome di Caneva in Italia e nel mondo.
L’unica certezza che emerge è che ad andare a braccetto con le prostitute sono certi organi di informazione.
Permetteteci solo alcune considerazioni. La Tribuna di Treviso di oggi 08 febbraio spara il titolone in prima pagina: “Filmati i festini sexy”, strano però che negli articoli non ci sia alcun riferimento a filmini ma solo ad alcune fotografie. Sorge un dubbio sul titolista: o non ha letto i pezzi, ed è grave considerata la delicatezza dell’argomento, oppure quel che ne è uscito per noi ha un solo nome: diffamazione a mezzo stampa.
Interessante anche come vengono riportate le dichiarazioni della ragazza che ha denunciato di essere stata segregata e indotta alla prostituzione. “A volte mi chiudevano dentro e non avevo mezzi per spostarmi”. Dal racconto sembra si tratti di un covo di mafia in Aspromonte, quelli tristemente noti per i sequestri, immersi in ettari di boschi sperduti. Chi scrive quella villetta di montagna la conosce. Si trova lungo la strada che collega Sacile e Caneva al Cansiglio, a pochi chilometri dal centro urbano di Caneva e perlopiù vicina ad altre case. Continua la dichiarazione della ucraina: “Sono scappata a piedi, di notte, attraverso i boschi. Mi hanno ripresa”. Un bel racconto strappalacrime, peccato solo che nel Gaiardin i boschi non ci siano. Per completare la sequenza di inesattezze, giusto per dovere di cronaca, neppure la baita fotografata è quella in questione. Nella foto si vede una casa a due piani, il villino di montagna di Gianni Biz, a parte una mansardina, è tutta al piano terra. Difficile segregarci una persona…
Complimenti, si fa per dire, anche ad Antenna Tre che nel servizio del telegiornale fa vedere una prostituta lungo una strada che sembra il Terraglio o la Pontebbana. Scusate ma cosa c’entra? Cosa può capire la massaia che, mentre cuoce la pasta, con un orecchio sente il nome delle persone coinvolte e con un occhio vede delle "signorine" di strada? Non c’è il rischio che le persone che ascoltano si facciano un’idea distorta? Dilettantismo, incompetenza o mala fede? Non diamo alcun giudizio, lasciamo al lettore le conclusioni.
Giusto per par condicio è opportuno anche citare il Gazzettino di Pordenone, sempre di oggi 08 febbraio. A pag. II dell’edizione locale viene pubblicato un articolo dal titolo “Conosco una giovane sequestrata e picchiata”. Vi risparmiamo lo scabroso contenuto. Si tratta di un racconto circostanziato di un crudele episiodio che sarebbe accaduto ad una ragazza nel contesto dell'indagine in corso, inviato al sito del giornale e firmato con lo pseudonimo di Maverik. Ma come è possibile? La legge impone al responsabile della pubblicazione di verificare le fonti. Quantomeno un articolo dal contenuto accusatorio dovrebbe riportare le chiare generalità di chi lo ha scritto il quale si prende la responsabilità di quanto afferma unitamente alla verifica dell’attendibilità da parte di chi pubblica! Ci sono queste condizioni? Sembra proprio di no!
Gravissime affermazioni anche quelle apparse nel sito di Radio Veneto Uno e in un sito di ciclismo che riportano dati che non trovano riscontro da nessun altra parte e sembrano, stando a quanto è dato sapere, frutto di invenzione.
Si potrebbe continuare ancora ma per rispetto per le persone coinvolte in questa gogna ci fermiamo qui. Saranno i legali, se lo vorranno, passata la tempesta, ad attingere a questa macabra collezione che abbiamo raccolto in redazione, con una sequenza di diffamazione a mezzo stampa, radio e televisione, che non consiste tanto nell’amplificazione mediatica a nostro avviso spropositata (ma questa è solo la nostra irrilevante opinione), quanto nella distorsione di notizie a volte condite pure di fantasiose invenzioni.
A.B.