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Lettere dai visitatori Le candidature d’immagine e la politica veltroniana della non conflittualità

Firmato da: marco3974.

La mattina dell’11 marzo 2008, nel pieno della campagna elettorale delle elezioni politiche, faceva tappa a Vicenza il bus di Walter Veltroni. Dopo esser stato eletto a furor di popolo segretario del Partito Democratico nell’ottobre del 2007 era pronto a sfidare il suo “principale avversario”. 



L’Auditorium era pieno come nelle grandi occasioni e all’entrata trionfale di Veltroni partì a tutto volume il pezzo di Jovanotti mi “Mi fido di te”. Ovviamente sul palco erano presenti anche i candidati parlamentari per la circoscrizione Veneto. In particolare due: Paolo Nerozzi e Massimo Calearo Ciman. Il primo dimissionario dalla Segreteria Nazionale Confederale della Cgil per candidarsi a senatore del Pd, il secondo, capolista in Veneto, ex presidente nazionale di Federmeccanica ed ex presidente dell’Associazione Industriali della provincia di Vicenza candidato alla Camera dei deputati. Insomma, due nemici di classe, come si sarebbe detto una volta. Nel bel mezzo del comizio di un Veltroni all’insegna del nuovismo in politica, della fine della lotta di classe, delle contrapposizioni tra operai e imprenditori, sciorinando (correttamente) le peculiarità della terra veneta delle piccole medie imprese, dell’artigianato e dell’esercito delle partite Iva, invitava i due canditati parlamentari prima citati a darsi la mano e questi, generosamente, sorridendo tra gli applausi generali, se la strinsero calorosamente e sopratutto simbolicamente. Quell’immagine era il trionfo del veltronismo. La vittoria di Walter Veltroni su un vecchio modo di intendere la politica, su una vecchia contrapposizione ideologica tra capitale e lavoro, che tra l’altro oggi è anche elettoralmente scaduta. Io non applaudii più di tanto e scetticamente rivolgendomi ad un signore anziano seduto al mio fianco scherzosamente e ridacchiando gli dissi: “Queo vixin a Calearo xe un sindacalista?! Beh, spero che almanco xe gappia spuà in tea man prima de darghea!”. Tradotto dal dialetto veneto, quello a fianco di Calearo è un sindacalista? Beh, spero che almeno si sia sputato nella mano prima di dargliela. Ripensando a quei momenti e a quei ricordi, è impossibile non riflettere sull’evoluzione politica e sulle scelte dell’on. Calearo. Se la candidatura dell’on. Paolo Nerozzi rappresenta politicamente l’ancoraggio del Partito Democratico al mondo ed ai problemi del lavoro, alla storia ed al ruolo del movimento sindacale, ricoprendo a mio avviso un elemento fondamentale anche dal punto di vista identitario di un partito progressista; quella dell’on. Calearo rappresenta il tentativo della sinistra di apparire sempre meno classista, di rappresentare il mondo imprenditoriale e di tentare di esserne un fermo interlocutore. Per carità, la scelta sarà anche giusta, vista la fine delle ideologie ed i mutamenti dei rapporti di produzione e della società italiana, ma fin da subito era evidente che la scelta proprio del Falco di Confindustria era sbagliata. Vi sono diversi esempi di imprenditori nel centrosinistra che stanno coerentemente svolgendo il loro mandato, ma intorno alla figura dell’on. Calearo era chiaro il disagio e l’imbarazzo sin da subito. I primi tempi non gli riusciva mai un discorso in pubblico che non fosse semplicemente di destra. Che non dicesse nulla di sinistra o di progressista. Era palesemente un buon conservatore. La candidatura d’immagine era fallita, lo stesso meccanismo di cui viene accusato di far uso il centrodestra viene adottato anche nel centrosinistra. Ma al di là dei discorsi programmatici di segretari di partito, delle aspirazioni maggioritarie e del sogno di una cultura veramente riformista, vi è da sempre in ogni caso una tendenza secolare che divide chi sta dalla parte del mondo dei lavoratori dipendenti e chi fa parte del sistema padronale, chi è più sensibile alla giustizia sociale e chi ripete costantemente che è ora di cambiare, elencando priorità, tematiche ed argomenti distanti da ogni buon progressista. E non sarà certo qualche dirigente di Confindustria in qualche partito della sinistra a mettere fine a questa antitesi. Soprattutto in un centrosinistra che dalla fine del Pci non ha più avuto un vero leader, capace di coinvolgere i cittadini e di promuovere svolte reali in termini di cultura politica, d’identità, di idee, di incompatibilità storiche (come tentato da Veltroni). Il tentativo del Professor Prodi, oramai elettoralmente impresentabile, di proporre un’idea europea del Paese è stata schiacciata dagli interessi di bottega e dalla litigiosità delle varie forze dell’Unione. Basti pensare che oggi il centrosinistra è arrivato addirittura a teorizzare, per le probabili future elezioni politiche, la venuta di un ”papa straniero”. Come se la provvidenza potesse concepire un nuovo leader della società civile spendibile politicamente. E guarda caso proprio quando la sinistra non ha più un leader riciclabile, nemmeno dalle amministrazioni locali (come fu invece per Veltroni che da sindaco di Roma estraneo e lontano dal deludente governo Prodi venne candidato premier alle elezioni del 2008). Se faranno mai dei provini per trovare questo fantomatico leader, probabilmente ci proverò anch’io. Ma solo perché da pochissimo sono neolaureato; e mi ritrovo in un Paese con una disoccupazione giovanile sopra il trenta per cento.

Pubblicato da piave in data Mercoledì, 27 ottobre 2010
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